“Vivaro e Rossini”
di Girolamo Proietti e Beatrice Sforza
Le parole “usi, costumi e tradizioni”, tanto ricorrenti nel nostro codice linguistico quando cerchiamo di soddisfare la curiosità sull’“altro”, custodiscono un segreto: l’anima stessa di un popolo. L’esperienza della festa, la partecipazione ad un rito, la
lettura di una novella popolare,esprimono, tra l’altro, la ricerca e la scoperta dell’identità di una popolazione. Non è possibile, infatti, parlare di una terra senza fare riferimento al suo folclore, ovvero all’esame delle tradizioni,dei costumi,
ai significati di un canto, di una credenza, che svelano il sentimento stesso di appartenenza al gruppo, qualora siano conosciuti e condivisi. Tuttavia, oltre alla conoscenza e alla condivisione, è fondamentale la conservazione e la valorizzazione di questo patrimonio culturale, in modo da sentire tali “beni” come testimonianze presenti di civiltà lontane che continuano a essere vive. Questo lavoro rende omaggio alla vocazione musicale di Vivaro che è parte della sua stessa storia. Storia di contadini e di aspro lavoro nei campi. Grande è l’analogia tra la musica e la cultura contadina: canti e balli legati al mondo agreste e popolare sono
stati l’espressione collettiva del rapporto con la Madre Terra. Il canto esprimeva la parte più spirituale e viva del rito, perché tramandato alle diverse generazioni dalla memoria della comunità. I canti della tradizione agraria comprendono molto
spesso aspetti liturgici del rito cristiano perché la religiosità era parte integrante della vita e del lavoro.
Difatti, l’anno liturgico, col suo alternarsi di cicli religiosi, accompagnava anche il ciclo di lavorazione della terra: si impetrava la protezione dei santi per avere una buona resa del raccolto; lo stesso suono delle campane richiamava dai campi i lavoratori. I riti e le feste agrarie che si svolgevano durante l’anno solare erano più numerosi all’inizio del ciclo vegetativo,più radi nei tempi di maturazione e del raccolto, ma tutti colmi di significato culturale. La vita contadina si svolgeva seguendo il ritmo delle stagioni con riti dal significato profondo e spesso arcaico. Vi è infatti un legame molto
stretto tra il ciclo della natura e il rito, perché la vita, la morte e la rinascita della natura è lo stesso dell’uomo e proprio questa ciclicità rispecchia lo svolgersi della sua esistenza. Questo percorso di conoscenza della vita musicale del popolo di
Vivaro è teso a custodire, a ridare valore ed a trasmettere un’antica eredità, ma anche a fissare per iscritto quelle cose che, il tempo e il filtro incerto e labile della memoria potrebbero sbiadire. La ricerca e la documentazione sulla “tradizione più
importante” di questo minuscolo paese hanno espresso bene la predilezione artistica dei suoi cittadini. Difficile non coglierla nell’intensità di questa immagine: «i vivaresi,sono, ognuno a suo modo, profondamente artisti: scoprono sensi nascosti nelle cose, e tali sensi riaffidano alle cose con il canto. Perché i vivaresi soprattutto cantano». A pochi chilometri da Roma, sulla via Tiburtina, al confine con le province di Rieti e dell’Aquila si trova Vivaro Romano. Vivaro è legato all’insediamento
dell’antica popolazione degli Equi; nel 229 a.c., poi, i Romani fondarono nella località una colonia latina chiamandola Vivarum da cui Vivaro. Proprio risalendo alle antiche origini romane e cercando di spiegare l’etimologia dell’appellativo Vivaro dato al
luogo, si può constatare lo stretto legame tra la nascita del centro urbano e la ricchezza naturale che custodisce. In questo caso la radice etimologica latina del nome Vivaro è bibarum. Il Regesto farfense, prima fonte storica della regione sabina, cita cinque volte bibaro; una volta bibarum, bivarum, bivarus, due volte vivarius e vivarum, una volta vivarus.
Infine, ma non in ultimo, vogliamo pubblicare la revisione di un pezzo già noto al lettore vivarese, rielaborato e aggiornato da Girolamo Proietti. In questa versione è stato presentato e, non nascondiamo, molto apprezzato, dal prof. Giovanni Morelli,
docente di Metodologia della conservazione dei beni musicali all’Università Ca’ Foscari di Venezia: della qual cosa siamo estremamente fieri. Festa della Madonna Illuminata 4, 5, 6 Agosto. «Non solo il popolo Vivarese, ma anche i convicini accorrono per venerarla (l’Immagine), onorarla e pregarla, per esprimere i loro affetti verso Maria SSma Illuminata per cui nutrono grandissima devozione». (Archivio parrocchiale Vivaro, don Giorgio Testa, Notizie sulla chiesa parrocchiale, Ms, p. 44) Prof. G. Sforza, L’uomo è la sua terra che cammina, in Studi Variazioni Divagazioni, Roma, Bulzoni, 1986 Scartata l’ipotesi maliziosa che il nome derivi dalla tendenza dei vivaresi al bere, rimane concreto il legame con il latino bibere, da cui si può facilmente dedurre che la stessa fondazione dell’abitato sia dovuta alla scoperta del segreto tesoro che custodisce il luogo. L’opinione più comune è che i coloni romani di Carseoli abbiano denominato Vivarium il territorio di Vivaro per l’abbondanza di acqua che permetteva l’allevamento del pesce. Ipotesi suffragata dal sopravvissuto termine “Peschiera” dato alla piazza del paese, e dalla testimonianza letteraria di Giovenale che nelle Satire (Sat. IV, 51) chiama vivaria i bacini ove si allevano i pesci. Durante le invasioni barbariche il territorio fece parte del ducato longobardo di Spoleto Appartenne nei secoli X e XI all’Abbazia di Farfa. Nella metà del ‘400 passò agli Orsini, quindi ai Brancaleone (precariamente ai Coppari e ai Drago), ai Ceuli, ai Vitelli,finché nel 1609 il papa Paolo V Borghese l’acquistò per il nipote Marco Antonio. Nel 1799, subì l’assalto dei francesi che incendiarono il Castello. Nei primi anni del Novecento, nei piccoli centri le figure cariche di autorevolezza e prestigio erano ovunque il sindaco, o podestà in alcuni anni, il parroco, il maresciallo dei carabinieri, il maestro elementare.
A proposito di quest’ultima figura, ancora oggi i più anziani ricordano Filippo Cerini. Nato a Vivaro Romano il 2 dicembre 1871, studiò ad Albano Laziale, presso i Fratelli delle Scuole Cristiane, rivelando una spiccata disposizione per la musica, e conseguì
il diploma di maestro elementare. Insegnò per alcuni anni a Grugliasco presso Torino, finché il Comune di Vivaro gli affidò l’insegnamento nel paese natio. Per circa vent’anni fu Segretario delle “confraternite” e tenne la Segreteria comunale dal 1919
al 1936 quando, ritiratosi dall’insegnamento, si trasferì a Roma, dove morì il 4 gennaio 1937. Per le varie generazioni di allievi, nei quali trasfuse con paterno e generoso affetto i tesori della sua intelligenza e della sua bontà, e per tutti i
Vivaresi, egli fu e restò, nel grato ricordo, il “Maestro” per antonomasia. Merito del maestro Cerini è quello di aver dato avvio alla tradizione del Canto delle “Figlie di Maria” nei giorni della Festa della Madonna Illuminata. Un cenno merita la storia del
ritrovamento dell’icona. Nascosta durante le scorrerie saracene, la “pulcra imago beatae Mariae Virginis” sarebbe stata scoperta da un pastore, richiamato da una vivida luce che avrebbe dato origine all’appellativo Illuminata. Scrive G. Testa nel 1906 nelle notizie della Chiesa Parrocchiale: «L’Immagine è antichissima in forma rettangolare ed è dipinta su legno di noce. Per tradizione popolare si ha che fosse trovata da alcuni pastori, ma se ne ignora il tempo; e nel vocabolo “le Pantane” dove fu trovata si fabbricò dal popolo una chiesa, e poi l’eremitorio, perché riportata l’Immagine per ben due volte al paese per tenerla il popolo più vicina a sé, fu miracolosamente (come si ha per tradizione) ritrovata allo stesso posto dove fu trovata; segno manifesto che ivi voleva eleggere la sua dimora ed ivi voleva essere venerata. Si ha per tradizione pure che allo scoprire sotterra la detta Immagine, tutta quella contrada sfolgorò di luce, specialmente nel punto dove si trovava; e perciò Ella, non avendo nome, per questo prodigio fu chiamata col bel nome di “Maria SS.ma Illuminata» . E’ con versi soffusi di profonda fede che il maestro Cerini si rivolse alla Vergin di sol vestita / Illuminata e bella facendo cogliere l’essenza dell’animo vivarese legato alla devozione della Madonna Illuminata. Il maestro Cerini fece risuonare nella valle le belle voci delle giovani vivaresi, le “Figlie di Maria”. Per far questo utilizzò la sua “maestria” musicale, il suo ingegno, la sua passione incrollabile, che sfociarono (la copia conforme all’originale data al 7 luglio 1911) nella riduzione e trascrizione, per due voci femminili, della canzone Allor che l’alma afflitta. Tale trascrizione non è altro che la “sistemazione” musicale a due voci, con parole all’uopo adattate, della Fede di Gioachino Rossini.La Foi, l’Espérance, la Charité: Trois choers religeux per coro a 3 voci femminili e pianoforte furono
scritti da Rossini, sia in francese che in italiano, a Parigi (dove Rossini si trovava per curare una forma particolare di gonorrea che lo affliggeva da un certo tempo) e vennero eseguiti nella capitale francese il 20 novembre 1844. Non è possibile
immaginare come il maestro Cerini si. Le informazioni riguardanti l’etimologia del nome del paese e il canto delle “Figlie di Maria” sono tratte da Sforza, B. Vivaro, la terra e la gente, Tipografia Fabreschi Subiaco, 2004 G. Di Nicola, Le Chiese, Tivoli,
Tipografica San Paolo, 1970 sia imbattuto in queste partiture: resta il fatto che, una volta lette o ascoltate, ne rimase tanto colpito da volerle eseguire in Vivaro. A due annidi distanza, il maestro ridusse e trascrisse, sempre per due voci femminili,
anche la Carità, ribattezzandola Vergine bella: nella copia conforme all’originale,l’anno riportato in calce è il 1914. Successivamente gli sconvolgimenti della prima guerra mondiale interruppero, evidentemente, il maestro, che completò la
trascrizione dei tre cori soltanto nel 1923 con la Speranza, divenuta Odi Pietosa. Ed è proprio tra il 1922 e il 1923 che
l’instancabile istitutore decise di ampliare il repertorio componendo il brano Vergin di Sol Vestita, del quale esiste una versione identica musicalmente ma differente nelle parole: Regina dell’Empiro. Una volta composta l’armonia e scritte le parole
dei brani, è probabile che il maestro abbia dovuto ricorrere a qualche “buon amico” per procedere alla cosiddetta concertazione per banda. Si ha ragione di credere, a tal proposito, che questa sia stata effettuata dal M° Ernani De Silvestri, direttore della
Banda di Riofreddo (paesino limitrofo). Sul frontespizio dello spartito, copia conforme all’originale, di Vergin di Sol Vestita del 1962 è infatti riportata la dicitura: “Concertatore M° De Silvestri Ernani”.Dunque Vergin di Sol Vestita è stata sicuramente concertata da De Silvestri, il quale giunse a Riofreddo nel 1908, ovvero tre anni prima dellatrascrizione di Allor che l’alma afflitta, e vi rimase fin dopo la seconda guerra mondiale. E’ quasi certo, quindi, che le abbia concertate tutte.Lunghe e faticose erano le prove che si svolgevano alla casa del maestro fin da giugno: le ragazze, però, nonostante la stanchezza del lavoro contadino, vi partecipavano numerose con una tale gioia da dimenticare le fatiche del giorno. E allo stesso lavoro domestico attendevano anche ilgiorno della festa, all’alba: dopodiché indossavano l’agognato abito bianco, le scarpe nuove
acquistate per l’occasione, e si recavano alla messa solenne dove cantavano la gregoriana Missa de angelis accompagnate dall’organo . Ma il momento più atteso era senz’altro quello del canto in Piazza della Peschiera dove le ragazze si
raggruppavano in circolo, insieme al loro maestro, accanto alla banda, pronte ad intonare le care note. Risale probabilmente ai primi anni del Novecento l’uso di far erigere in piazza la colorata cassa armonica (apposita architettura adibita alle esecuzioni bandistiche che per anni è stata simbolo della festa e che ancor oggi in molti rimpiangono), dove da quel momento, le ragazze hanno cantato, rendendo più magica e suggestiva la tradizione.